Algeria – PAS DE PROBLEMES

Tra i Paesi del Nordafrica l’Algeria è con tutta probabilità il più affascinante da visitare con un veicolo fuoristrada. E, contrariamente a quanto si possa pensare, attraversare le sue straordinarie regioni aperte al turismo (alcune delle quali riaperte da poco) non comporta alcun rischio. Lo assicura uno dei più esperti conoscitori del Sahara, che ci racconta come è nato ed è divampato il suo amore per il Paese che si è poi evoluto in una professione.

Era il 1993, l’Algeria era in piena guerra civile per un colpo di stato da parte dei militari dopo che il FIS (Fronte Islamico di Salvezza) aveva democraticamente vinto le elezioni con tanto di osservatori internazionali. A quel tempo Internet ed i social non esistevano (purtroppo, per fortuna?) e quindi c’era l’amico che ti mandava a sua volta dall’amico fidato, vecchio sahariano, per consulti di vario tipo. Avevo bisogno di cambiare le gomme alla mia Land Rover Discovery e venni indirizzato in un negozio in centro a Torino. Il proprietario aveva viaggiato nel Sahara dagli anni 60. Fu lì che mi ritrovai a vivere un momento che potrei dire da film. Provate a miscelare “Scherzi a parte” e “Carramba che sorpresa” e verrà fuori questa incredibile storia.
Questo anziano viaggiatore uscì dal suo negozio e, vedendo il mio mezzo con adesivi della Turchia, della Tunisia e del Marocco, mi chiese se fossi mai stato in Algeria. Gli risposi di no e lui cominciò a parlarmene con gli occhi lucidi. A quel punto si aggiunse a noi un altro signore che, sentendoci parlare di Algeria, chiese se poteva unirsi ai ricordi. I due si misero a parlare di posti che fino a quel momento avevo solo e sempre sognato sulle carte: Assekrem, Tamanrasset, Tenerè eccetera eccetera. L’anziano raccontò di quella volta che, andando verso il Niger, incontrarono un fuoristrada che andava verso Tam (abbreviativo di Tamanrasset) con a bordo un bambino gravemente malato. Un tempo nel Sahara ci si fermava e ci si aiutava SEMPRE. A quel punto, il colpo di scena: il nuovo venuto guardò l’anziano e gli disse: “Ma sono io quel bambino!”. Io, basito in un angolo, pensavo che mi stessero prendendo per il culo. I due cominciarono ad abbracciarsi e a piangere, ma di quel pianto che unisce solo chi ha vissuto simili esperienze nel cuore del padre di tutti i deserti (come Theodore Monod ha definito il Sahara). Al che io, quasi in lacrime, decisi che guerra o non guerra dovevo partire, e così feci. Litigai con l’agenzia di viaggi che assolutamente non voleva farmi partire e volai su Algeri il 25 dicembre 1993, con pollo freddo al posto di agnolotti, arrosto e pandoro.

Ad Algeri capii cos’è la guerra. Le auto blu dei grandi alberghi dove vivevano ministri e generali sembravano dei bunker e l’auto blu che mi diedero non si fermava mai per paura di attentati ed aveva una corsia preferenziale dall’hotel all’aeroporto. Arrivato finalmente a Tam, ero ovviamente il solo turista e pensai bene di prendere una guida e 3 dromedari, chiamati chameaux in tutto il Sahara, e partii per una settimana di trekking. La prima sera, incantato a guardare la volta celeste, la guida mi chiese “Ma dove vivi tu non ci sono le stelle?”. Seguirono molti altri viaggi, i classici agosto e Natale per chi come me lavorava in uno studio di consulenza a Torino. Fino al 2002, quando l’Algeria cominciò a non far più paura ed i primi gruppi cominciarono a chiedere informazioni. Grazie al meraviglioso rapporto che avevo con i miei titolari – lui era pure il mio capitano nella squadra di tennis in Coppa Italia – riuscii a ritagliarmi dei giorni per accompagnare i primi gruppi. Nel 2004 il trasferimento a Tam che mi ha cambiato la vita. Intanto perchè dopo due mesi misero la guida obbligatoria. Esattamente a maggio, cosicchè ad agosto avevo già tre gruppi. Peccato che il trasferimento fu fatto con un Renault Master che morì ad In Guezzam, e io dovevo portarlo ad Arlit, in Niger, per venderlo e toglierlo dal passaporto. Pas de problèmes, la frase più sentita nei miei 25 anni di Sahara. Be’, in effetti stavo bevendo il solito tè quando mi accorsi che il filo da stendere nel cortile della famiglia che ci ospitava era esattamente il cavo della frizione che ci serviva e che avremmo dovuto aspettare da Algeri. Ripartiti alla volta del Niger, cominciò la vera e propria odissea, altro che Ulisse. Ad Algeri mi dissero che il visto aveva validità tre mesi, peccato che mi misero una sola entrata e così, arrivato alla frontiera algerina dopo aver venduto il furgone (non senza qualche altra peripezia), mi dissero che non potevo entrare, idem in Niger. Risultato? Quattro giorni nella terra di nessuno, a giugno con 50 gradi e solo acqua e latte in polvere. Mi scatenai con il Thuraya fino a quando una sera, verso mezzanotte, arrivò come in sogno un vassoio di spaghetti, ed io mi sentii come Totò quando balla, se li mangia e se li mette in tasca, forse ho fatto anche di peggio.
Dopo ha inizio la storia di Saharamonamour, la mia agenzia. Una realtà che ai tempi d’oro è arrivata a gestire 17 gruppi solo a Natale, e di cui hanno parlato libri e riviste.

QUANDO SI DICE IL DESTINO!

Come accennato, dopo il mio trasferimento e l’apertura di Saharamonamour, nel 2004, le autorità algerine imposero la guida obbligatoria ai gruppi di turisti. Ciò ha garantito la massima sicurezza in tutte le regioni aperte. Ed è da quell’anno, infatti, che il Paese è stra-tranquillo. Prova ne sia che una regione come l’Adrar Ahnet è diventata una seconda casa per me. Dove addirittura ci sono due nomadi che chiamo zio e zia. Per andare nell’Adrar Ahnet si entra poco prima delle mitiche gole di Arak costeggiando l’Erg di Medjbat, tra i più belli al mondo, e si scende dritti a sud zigzagando tra pitture rupestri, incisioni, guelte e nomadi tra i più accoglienti del Sahara. Ricordo un anno in cui portammo aiuti e chiesi di mio zio. Mi indicarono una “non pista” che, dopo insabbiamenti e ridotte a tutta, mi portò in un angolo chiuso. Non mi capacitai, ma solo dopo lo vidi spuntare da dietro una sporgenza di roccia, il suo campo era mimetizzato a prova di droni. Tè, taghellà e la sua tenda hanno fatto il resto. Uno dei momenti più emozionanti dei miei 25 anni sahariani fu quando, arrivato dallo zio, vidi stranamente una cammella coricata – normalmente i cammelli sono inginocchiati con le gambe piegate su se stesse. Sembrava quasi che ci stesse aspettando. Poco dopo il nostro arrivo si alzò, fece alcuni passi e si bloccò. Mio zio mi disse di non muovermi, le andò vicino e cominciò a tirare fuori il piccolo, aiutandola nel parto. Fu veramente degno del National Geographic.

 ALGERIA COME, DOVE, QUANDO

Per entrare in Algeria bisogna aver ottenuto una lettera di invito da parte di un’agenzia autorizzata, con la quale si può richiedere il visto turistico al Consolato di Milano o Roma. All’ingresso in Algeria, che sia all’aeroporto di Algeri o attraverso la frontiera con la Tunisia, è obbligatorio l’accompagnamento di una guida locale, con o senza auto. Il periodo climatico più indicato per un viaggio nel Sahara va da ottobre ad aprile ma il sud algerino, con altezze che vanno dai 1.000 ai 3.000 metri, è visitabile tutto l’anno.

Saharamonamour è l’agenzia di riferimento per gli italiani che intendono visitare l’Algeria, con qualsiasi mezzo (www.saharamonamour.com). Il titolare, Fabrizio Rovella, torinese di nascita, è uno dei massimi esperti italiani di Sahara e di viaggi avventura. Da sempre organizza viaggi nelle varie regioni del Paese su richiesta, senza date obbligate nè percorsi preconfezionati, seguendo esclusivamente le esigenze dei viaggiatori. Ha accompagnato Roberto Parodi da solo con l’Harley come gruppi da 35 macchine. Suoi sponsor tecnici sono Ferrino e Bshopzone. Ogni viaggio, provenendo dall’Italia, necessita in totale di non meno di 15/17 giorni (di cui 7 sono di solito quelli trascorsi nelle varie regioni). Queste le destinazioni più classiche attualmente aperte al turismo:

Adrar Ahnet (7 giorni): nomadi, pitture, incisoni e gazzelle; se non si entra negli erg è un itinerario facile e ben guidabile.

Atakor e Assekrem (7 giorni): piste molto dure da ridotte e twist, con vette che sfiorano o superano i 3.000 metri con il mitico Rifugio dell’Assekrem.

Tassili e Hoggar (7 giorni): una delle più belle regioni di tutto il Sahara, dove castelli di roccia e pinnacoli si perdono in mare di sabbia.

Tadrart Mergouga (7 giorni): un contrasto di roccia e sabbia con pitture uniche al mondo, a detta di tutti molto più bello dell’Akakus algerino. Possibile estensione di 4-5 giorni di trekking nelle famose zone di Jabbaren Sefar e Temrit.

Per evitare rischi, Saharamonamour consiglia di diffidare totalmente da chi offre viaggi in zone chiuse da anni come l’Erg orientale, l’Erg occidentale e l’Erg Chech.

© 4×4 Magazine – RIPRODUZIONE RISERVATA

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